Terra di alluvioni e siccità
La pianura paludosa attraversata dai fiumi che scendono dall’Appennino ha reso il fondo sabbioso, permeabile, sciolto e ricco di potassio. Qui l’uomo ha coltivato frutteti e vigneti creando un paesaggio unico e ha usato piante autoctone come pioppi, olmi e querce per maritarvi le viti.
Aria greve di pianura
Forti escursioni stagionali, con temperature molto alte d’estate e rigide d’inverno, oltre a temprare lo spirito delle persone, hanno determinato nei secoli lo sviluppo del vitigno lambrusco, robusta varietà che già i romani tentarono di coltivare partendo dal ceppo selvatico. L’aria madida di acqua rende nebbiose e umide le stagioni fredde e afose quelle calde, inumidendo spesso la terra al calar della sera fino al sorgere del nuovo giorno.
Acqua, primo scultore
La pianura padana è attraversata dal fiume più grande d’Italia, in cui confluiscono tanti affluenti dall’Appennino. Fiumi, questi, che hanno plasmato i terreni di tutte le province a destra del Po: quelle emiliane.
L’acqua non è mai mancata nei territori di Carpi e della bassa modenese: la palude segnava pesantemente la vita degli uomini dominando il paesaggio che iniziò a essere strappato alle acque solo con un immane lavoro di bonifica iniziato nel 1920. Oggi il dedalo di canali e fossi regola livella l’afflusso delle acque per portarle ovunque.
‘Vitis labrusca’
I diversi vitigni del Lambrusco – Salamino di Santa Croce, Sorbara, Grasparossa – hanno origine dalla ‘Vitis labrusca’, una vite selvatica che cresceva ai margini dei campi già in epoca romana. A lato di fossi e argini si può ancora ritrovare. È caratterizzata da grappoli impulsivi, con acini minuti dall’intenso pigmento.
Gente tenace e gioviale
I romani per primi apprezzarono le doti del Lambrusco, un vino esuberante e conviviale. Nei secoli il legame con questo vino divenne profondo, sia perché compensava la scarsità di cibo sia perché caratterizzava i momenti socialmente più importanti come cerimonie, ricorrenze e feste religiose.